Quanto stanno andando forte i reel e i tik tok dei caprettini? Sti caprettini che corricchiano tutti storti e saltellano ovunque e sembrano così teneri e buffi. E INVECE NO. Sono dei piccoli cuccioli assatanati affamati del mondo che ti saltano sulla schiena e ti saltano in testa e ti fanno cadere e venire i lividi e però va bene dai, siete troppo carini con quei musetti morbidi fate quello che vi pare, salitemi sulla vita.
Io e Luca stiamo viaggiando in van per l’Italia facendo wwoofing. Condivideremo le nostre giornate con pastori, agricoltori e contadini. Li seguiremo nei campi, ceneremo alle loro tavole, ci scambieremo storie. Perché? Vorremmo creare qualcosa di nostro e il miglior modo per approfondire crediamo sia imparando da chi già lo fa e lo vive quotidianamente. Un mesetto in ogni regione italiana, partiamo dal Sud e pian piano risaliamo. Siamo appena stati in Abruzzo.
Siamo in viaggio da cinque mesi e fatecelo dire: iniziamo a sentire la stanchezza. Non è affatto una cosa fisica, i nostri corpi sono attivi e forti. Piuttosto è una cosa che non avevamo affatto considerato. Conoscere una famiglia, entrare nella loro casa, seguire la loro vita, scambiarsi ricordi, riconoscersi simili e poi salutarli, ripartire col van, trovare posto per la notte, cercare l’acqua, (cercare di non litigare troppo a lungo che veramente sono tutte energie sprecate) intanto progettare il futuro e poi conoscere un’altra famiglia, ricominciare a cenare alla loro tavola, scambiarsi sensazioni, prendere confidenza con i loro movimenti, con i loro odori, con le loro inflessioni e poi salutarli e ripartire.
È la cosa più piena, eccitante e commovente che abbia mai fatto nella mia vita. L’energia esplosiva, l’entusiasmo a palla, la curiosità frizzante. Eppure iniziamo ad essere stanchi, rallentati. Iniziamo a parlarci per decidere in quale dei tanti modi possibili ci conviene continuare. Cos’è più sostenibile per noi? Come continuare senza consumarci?
Gli host ci hanno molto aiutato in questo. Ne sono molto grata, sono molto grata a Luca che mi permette un confronto costante. Sono molto grata alle fattorie in cui sto vivendo per cui posso avere accesso ad un cibo di una qualità superiore, sano e pulito, che mi fa sentire bene e mi fa sentire sicuramente che sono sulla mia strada.
Una fattoria abruzzese (Fattoria Rural Resilience, Civitaquana da Francesca e Christopher)
Qui in Abruzzo facciamo due tappe ciascuna di due settimane. La prima nella fattoria di Francesca e Christopher che hanno Leonardo di sette anni, Pietro di due e un terzo maschietto ancora al caldo nella pancia di Fra. Fino ad ora gli host che hanno figli piccoli ci hanno ospitati fuori dalla loro casa, chi ci ha fatto dormire sul nostro van, chi aveva un appartamento esterno. E lo capivo eh: i capricci, l’intimità, i giochini sparpagliati ovunque. E invece qui siamo stati molto sorpresi di essere ospitati nella loro casa, nella cameretta affianco a quella dei bimbi, nel loro bagno, coi capricci e i giochini ovunque.
Francesca parla a voce alta, ha gli occhi lucenti e ha in braccio Pietro, come fosse un prolungamento naturale del suo corpo, mentre cucina, mentre fa le stalle. Christopher viene da Parigi, ha dei tatuaggi, un grosso piercing sull’orecchio e dice cose abruzzesi come “è costato una frega di soldi” oppure “troppo fregno” ma con la r moscia.
Li abbiamo scelti perché dalla biografia e dalle foto ci è sembrato che facessero un sacco di cose diverse ma in una dimensione che rimane famigliare, ristretta. Hanno polli e galline, dei bellissimi maiali neri, delle pecore e poi pavoni, piccioni, anatre, tartarughe e pesciolini.
Da piccola avevo un libricino tattile sulla fattoria in cui tutti gli animali avevano una parte in rilievo fatta di pelo o di lana o di scaglie che m’insegnava a prendere confidenza con le consistenze. Era un bel libricino, con il gallo che sorrideva, la mucca al pascolo nell’erba verde, con i maialini rosa nella pozza di fango e il cavallo dietro al recinto bianco, con il silos alto alto e una casa rossa e una stalla calda e un cane bianco sorridente come guardiano.
In questa piana tra la Maiella e il Gran Sasso coi campi dorati di grano è stato veramente come essere in uno di quei libricini lì, con gli animali sparsi un po' di qui e un po' di lì ognuno nel suo ambiente più adatto, ognuno con il suo pelo di lana oppure di piume oppure di scaglie, con i beee o i chicchiricchi sempre presenti che fanno da colonna sonora ad un posto che veramente per un attimo ho visto un maiale sorridere.
Tra l’altro siamo arrivati in un momento in cui sono nati i pulcini delle galline che sono piccoli piccoli e soffici, sono nati i pulcini delle papere che sono giallissimi e neri, e pure gli agnellini, che sono bianchi col nasino rosa. E poi oh il fatto che ci fosse anche un altro cucciolo d’uomo che stava per nascere, che ci fosse anche quest’altra mamma che stava per diventare mamma ancora mi metteva una tenerezza che avrei voluto sciogliermi lì.
Ci sono moltissime cose che però in sto libricino non c’erano. Che qualche volta l’ho detto a Luca scusami eh ma nel mio libricino non c’erano. Come ad esempio i cuccioli di piccione, che sono bruttissimi, spennacchiati e col becco molle e storto. Oppure le colonie di pulci nel pollaio oppure un gatto che muore perché gli è entrato un forasacco nell’occhio. Oppure un ariete che ti carica oppure una gallina che si mangia il pulcino di un’altra. Tutte queste cose non c’erano affatto e però l’80% della vita in fattoria, per citare un grande maestro, è sangue e merda. Non tramonti, non pellicce soffici, non laghetti pulite ma sangue e merda. Ogni tanto mi fermo a pensare a mia mamma, chissà che pensa di me, povera mamma.
La mattina ci svegliamo e facciamo colazione con le crepes. Io ho due fratelli più piccoli ma quando loro erano piccoli ero piccola anch’io e allora molte cose me le ricordo un po' storpiate. Ad esempio non mi ricordavo che se ci sono dei bimbi già fare colazione insieme è un lavoro. Uno ti chiede il succo, l’altro ha rovesciato lo zucchero, intanto ti si sta bruciando il pane, intanto l’altro piagnucola perché non gli stai dando il succo, poi devi lavargli le mani e farli sedere ed evitare che lancino la marmellata per terra e poi allora se ne vogliono uscire fuori a giocare e devi chiedergli se perfavore invece possono ancora stare un po' seduti a finire quel che hanno nel piatto. Devi essere vigile, concentrato e paziente. Ma veramente a dei livelli sovraumani, a dei livelli da monaco buddista tipo asceta sadhu. E però lo capisco che quando ti sorridono con quelle guanciotte morbidissime compensano tutto il resto.
Poi io e Luca andiamo a dar da mangiare agli animali. Entriamo nella voliera dei piccioni, mettiamo l’acqua fresca e pulita e aggiungiamo il mangime. Come tutti i piccioni anche questi cagano ovunque ma almeno questi sono bellissimi e impettiti, alcuni marroni e altri bianchi. La carne del piccione è pregiata e prelibata ma è una tradizione che man mano si sta perdendo. Poi andiamo dalle anatre e anche a loro mettiamo l’acqua fresca nella vaschetta, intanto le apriamo perché di notte come quasi tutti gli animali sono da chiudere perché è pieno di predatori ed è un attimo che ti svegli e trovi una carneficina per via della volpe o del lupo o della poiana. Fanno un verso strano i maschi delle anatre, come se stessero soffocando, come me quando aspiro per sbaglio il cacao del tiramisù. Poi apriamo i pavoni che sono super fifoni e appena ci vedono rientrano nella loro casetta; i pavoni fanno esattamente il verso del beccaccino di UP (HO TROVATO IL BECCACCINO! NO. QUELLO è UNO STRUZZO MULTICOLOR. EDDAI SIGNOR FREDRICKSEN) Chris vorrebbe riempire la fattoria di pavoni, che se ne stanno sugli alberi e danno colore. E poi andiamo dalle pecore, ci stiamo più di un’oretta per togliere cacca e paglia, cambiare l’acqua e rimettere forconi e forconi di erba medica e paglia. Quelle bianche sono le Lacaune francesi e quelle nere sono le Romanov russe. Io ed Luca siamo completamente innamorati delle pecore, siam sempre più sicuri che sia quello che vogliamo fare. Abbiamo riempito Fra e Chris di domande sul fieno, sulle quantità da coltivare, sugli ettari di pascoli, sulla castrazione e la tosatura, sui parti non riusciti e sulle malattie.
Ho scoperto che se hanno a disposizione infinta erba medica la mangiano letteralmente fino a scoppiare, si salvano solo se arriva il pastore a farle un buco nello stomaco per sgonfiarle facendo uscire il gas e salvandole la vita. A sto punto mi vien da dire che le pecore non siano animali molto molto intelligenti eppure, dite la verità, dopo tre ore ad un all you can eat non avreste forse voluto anche voi ficcarvi un coltello in pancia per non scoppiare?
Ho apprezzato molto avere questa routine degli animali la mattina. Ci ha fatto sentire molto indipendenti e ci ha dato un assaggio di possibile quotidianità futura.
Pietro e Leonardo intanto giocano fuori, salgono sugli alberi, osservano i pulcini, stanno in stalla con noi. Leo prende le galline per le ali, cammina tra le pecore, urla ai maiali e ti guarda mentre sei impacciata e lenta nei movimenti come a dire eddai eh sbrigati. Pietro cavalca Teddy e Laila che sono gli enormi pastori abruzzesi, guardiani delle pecore, guardiani della casa e babysitter di Pietro. In generale la fattoria è mossa da un ritmo naturale. Ci si prende il tempo per osservare, per spiegare, per prolungare i discorsi dopo il pranzo. Si pranza quando i bimbi cominciano ad aver fame e poi si fa un pisolino (fondamentale, FONDAMENTALE). Si inforna il pane col lievito madre, si raccolgono due fichi, si vanno a prendere le uova.
Prendere le uova da fattoria rural resilience non è tipo che vai e ti prendi due uovine così in mano. È piuttosto che vai con un bel secchio e te ne prendi una novantina. Le galline ovaiole fanno le uova (più o meno uno al giorno) e invece i polli si allevano per la carne. Sia le galline che i polli passano la giornata a beccare e fare la cacchina. Dove vive la gallina non cresce più niente, rimane solo una terra nuda e senza vita e quindi non sono affatto realistiche le foto di pinterest in cui si vedono le galline nei prati verdi, non lo fanno crescere il prato. Oltretutto, se restano sempre nella stessa zona c’è un elevato rischio che si ammalino o le vengano dei funghi alle zampe. Per questo i pollai mobili sono geniali.
Quindi tu vai lì, ti pigli questo centinaio di uova, torni in casa e le pulisci con uno straccettino (‘pezzetta’ in abruzzese). Fra e Chris vendono settimanalmente le uova sia a famiglie che a negozi che a ristoranti e su ciascuna ci mettono quel timbrino rosso che si vede anche sulle uova nei supermercati. Guardando la prima cifra del codice si può sapere se: 0 allevate in biologico, 1 allevate all’aperto, 2 allevate al chiuso, 3 allevate in gabbia. Mi piace molto il giorno di consegna delle uova, mettere con cura le uova nelle scatoline di cartone e consegnarle a chi le ha richieste, a chi ha scelto di affidarsi a prodotti sani di animali in salute. Da ex compratrice di albume nei bricchettini vi assicuro che la differenza si sente tutta: di sapore, di nutrimento.
Luca e Pietro intanto continuano a giocare come due fratellini. Leo mi chiede se ho voglia di guardare una puntata dei pokemon insieme stasera. Ci siamo preparati la pasta fredda e abbiamo fatto un picnic sul fiume. Credo siano momenti intimi che fanno la differenza, anche se si sta solo un paio d’ore che poi bisogna ritornare per il pisolino, credo siano momenti che fanno la differenza. Si parla in francese e in italiano. Una sgridata in francese mi sembra molto più efficace che una sgridata in italiano. Francesca ci racconta della scuola parentale, ci racconta che prima lavorava nel consolato a Gerusalemme ed è lì che ha visto cosa vuol dire essere resiliente, l’ha visto dai palestinesi che nonostante le strizzate ritornavano sempre alla forma originale ed è per questo che ha chiamato la sua fattoria così solo che poi è iniziato ad andare troppo di moda e mannaggia anche perché FATTORIA RURAL RESILIENCE è troppo difficile da pronunciare, dice. Anche Christopher faceva tutt’altro prima e questo ci dà molta speranza, che di solito tutti partono con delle aziende agricole almeno di una generazione, che noi non abbiamo.
Ci piace imparare le cose tecniche e quelle burocratiche e noiose tipo i bandi perché, di nuovo, la maggior parte della fattoria è questa cosa qui. Anche se mi piace di più vedere solo le pecore che pascolano placide oppure la goccia di latte del fico, è vero che niente sarà possibile se non inizio a studiarmi i bandi ismea e i primi insediamenti e finanziamenti a fondo perduto.
Ad esempio. Fino a cinque mesi fa per me se avevi una gallina potevi benissimo ammazzartela in cortile e spiumartela in cucina e farci il brodo. Come faceva mia nonna in Calabria. Ma figurati adesso ti arrestano se lo fai. Devi avere gli animali registrati, dichiarati e ovviamente un laboratorio a norma con pavimenti, muri, lavandini, macchinari certificati e frigoriferi enormi. Anche per il caseificio è così. Se vorremo farci il formaggio dovremo avere un laboratorio del formaggio che segua le misure HACCP. A Luca non piace molto, dice che è asettico, sembra di lavorare in chirurgia e gli do ragione. Però da Francesca abbiamo lavorato i polli e farlo in un laboratorio del genere è comodo. Magari non romantico ma sicuramente comodo. C’è una macchinetta che stordisce l’animale affinché non soffra durante il dissanguamento. Una centrifuga ad acqua che in 20 secondi ti spiuma l’animale. Un lavello con dei ganci alti dov’è comodo riporre la carne dopo aver tolto le interiora e averlo sciacquato. In realtà devi anche essere un po' chirurgo perché io fino ad un mese fa non sapevo dove fossero i polmoni, che consistenza avessero oppure come togliere la cistifellea o ripulire lo stomaco o sciacquare il cuore. Non mi ha fatto per niente impressione questa parte, mi sono piuttosto sentita vicino ad un’antica ritualità, a mia nonna, a civiltà che l’hanno fatto per milioni di anni, alla pachamama. E poi si accende la vaporella e col vapore si igienizza tutto in un attimo. La carne che producono loro è diversa anni luce. Il pollo è compatto e ha un gusto pazzesco anche se è solamente messo nel forno con un goccio d’olio. I salami dei loro maiali neri si sciolgono in bocca come il burro.
Anche quando vanno a far la spesa sono molto attenti a scegliere prodotti biologici, si leggono le etichette con calma. Ho chiesto se non erano preoccupati da quei prodotti lì, biologici un po' di nicchia, che costano un occhio della testa. Mi han risposto che si tratta di spendere i soldi con diverse priorità, la loro priorità è di nutrirsi di cibo che non li avveleni, che il prosciutto nella plastica oppure gli hamburger di melanzane di uccidono lentamente. Sarà per l’aria o per il cibo, i loro bimbi non si sono mai ammalati, nemmeno una febbre alta. Si producono la pasta perché coltivano il farro. Che figata la pasta di farro. Anche questa la vendono: linguine, mezze maniche, riso perlato.
Abbiamo imparato molto qui. Sulla genitorialità soprattutto e poi su un’azienda ben strutturata, varia ma con un carattere deciso e coerente. Fare le cose per bene ma lasciarsi il tempo di godersele. Fare il solletico ai quei minuscoli piedini di Pietro. Guardare Kung Fu Panda la sera. Fattoria rural resilience continuerà ad evolversi e noi non vediam l’ora di ritornare a trovarli.
Qualche giorno di pausa
Ci siamo fermati a Giulianova. Siamo andati in spiaggia e abbiamo conosciuto Francesco e Rachele. Lui è stato il primo wwoofer di Antonio, il pastore sardo. Ci parlò talmente tanto e bene di questo ragazzo abruzzese che subito decisi di cercarlo sui social e quotidianamente ci siamo scritti, scambiati confronti e canzoni.
Sono state bellissime serate queste con loro. A parlare di marinai e signori degli anelli, mangiare vongole e vino bianco. Lei così delicata e pregna di sapore, lui con gli occhi azzurrissimi. Ragazzi di vent’anni, puri ed entusiasti. Che lo vedi che un po' il mondo lo cambieranno.
Le capre, finalmente (La Capra Fenice, Tortoreto da Salvatore e Rita)
Quanto stanno andando forte i reel e i tiktok dei caprettini? Sti caprettini che saltano ovunque, saltano sulle schiene delle persone, sugli alberi, sulle auto. Corricchiano tutti storti e saltellano ovunque. E hanno questi musetti così umani, così teneri e buffi. Sono troppo belli, ne vorremmo tutti uno, perforza!
Ma stranamente non è questo il motivo che ci ha spinto a venire qui. Sapevamo che Salvatore e Rita avevano una cinquantina di capre, che è un numero di capi che ci interessa perché è il minimo per una produzione sostanziosa, e che avevano un caseificio. Un minicaseificio. Caprettini e minicaseificio, capito? Prendetemi subito. Spoiler: il caseificio non l’abbiamo mai visto, tipo il cavallo da Antonio, come un cerchio che si chiude. Sad story!
Il primo giorno ci hanno chiesto perché volessimo intraprendere questa strada. Della campagna, dell’azienda e degli animali. Ci hanno detto che avrebbero passato le due settimane successive a convincerci del contrario e così hanno fatto. Se da un lato è un buon modo per renderci consapevoli e mostrarci tutte le facce meno romantiche di questa vita (burocrazie, malattie, veterinari) dall’altra crea un clima poco sereno, sempre orientato al negativo. Ma dopo cinque mesi di scambi positivi e good vibes eddai ci sta, mi son detta, fatemi vedere il peggio, sono pronta.
La mattina ci svegliavamo alle cinque, rinfrescavamo la stalla delle capre, sistemavamo il fieno, davamo il mangime ai capretti. Ho le gambe piene di lividi. Questi piccoli cuccioli assatanati affamati del mondo non possono assolutamente aspettare quel secondo in più che tu finisca di posizionare le granaglie nella mangiatoia, no, loro devono salirti sulla schiena e in testa e farti cadere. Ma sono troppo carini con quei musetti morbidi per me potete fare quello che vi pare, salitemi sulla vita.
Dalle 7.30 andavamo un paio di ore al pascolo. La prima volta tremavo, che se mi partivano ste cinquanta capre era come se mi partissero centinaia e centinaia di Camembert e la capra fenice addio. Al pascolo ti esce un’energia particolare, mente e corpo diventano animali e sprigioni forze che non pensavi di avere. Hai con te un bastone, un cane e il tuo corpo e devi usarli in modo da dirigere le capre.
Il pascolo è un elemento fondamentale nel ciclo di un’azienda agricola, un suolo fertile che si rigenera con il passaggio degli animali. Certo, servono accortezze e progettazioni: rotazioni, raccoglimento idrico, riposo. La permacultura apre le porte a questo tipo di progettazione ma purtroppo spesso si pensa sia tempo perso o che “iniziamo poi vediamo come va”. Spoiler: probabilmente andrà che dopo pochi anni mancheranno l’acqua e un pascolo rigoglioso, mancherà fertilità e si rimpiangerà una solida precedente progettazione.
Si riprendeva a lavorare la sera, dando una pulita, dando il fieno, e di nuovo le granaglie ai caprettini e i lividi. In tutte quelle ore del pomeriggio, a pranzo e cena, al mattino e nel giorno libero, noi parlavamo con Ornella.
Ornella è quell’essere mitologico che cerco da 23 anni. Lì è la stagista, si occupa della mungitura ed è una persona meravigliosa. Ha 30 anni ed è curiosa, ha entusiasmo, una parlantina vivace e uno spirito meditativo che scusate ma è l’amica che cerco da sempre. Ogni giorno io, Luca e Ornella abbiamo esplorato concetti umani e vegetali che non pensavo fossero possibili. Mi ha aperto delle sfumature di possibilità. Il mio cervello grondava, il mio cuore era colmo. Di erbe ayurvediche e idrolati, di naturopatia e fermentati, di persone verdi e blu. Frequenta un corso online di filosofia pratica e ci ha fatto partecipare ad una lezione sulla paura ed è stato bellissimo. Coricati insieme sul letto, io al centro, Luca di qua e Ornella di qui. Il computer davanti col il professore che ci chiedeva di chiudere gli occhi, di liberare la mente, di sentire il nostro respiro e poi sentire i suoni provenire da fuori. La finestra aperta e un filo di aria fresca. Calmi e quieti a nutrirci delle sue riflessioni. Scambiarci sentimenti, nutrirsi l’uno dell’altro. Stare con persone che ti innalzano, che ti danno più di quel che sei. Io ho fame di consapevolezza e di quiete e di entusiasmo e in Ornella l’ho trovato. Ci siamo abbracciate prima della nanna, ci siamo abbracciate ogni mattina. Ci siamo abbracciate fortissimo l’ultimo giorno e ci siamo dette a presto.
Con Salvatore e Rita non abbiamo trascorso molto tempo ma ciò che ci porteremo dietro è questa frase: il formaggio si fa in stalla. I prodotti animali dipendono strettamente dalle condizioni dell’animale. Se la capra (o la pecora o la mucca o l’asino) sta in una stalla pulita, beve acqua fresca e pascola erba buona allora farà un latte eccezionale e di conseguenza un formaggio pazzesco.
Se il casaro in caseificio si accorge che il latte ha un odore strano, che caglia male o che ha un colore più scuro allora deve correre in stalla a vedere quale sia il problema. Forse una capra è malata? Forse il fieno ha troppa terra? Forse la stalla è sporca? Forse l’acqua che bevono non è ottimale? Tutto dipende da questo.
Fa strano vero? Immaginare che la maggior parte della carne e del latte in commercio viene da allevamenti intensivi che non assomigliano per niente a questo.
Fa strano, fa pensare, fa provare vergogna. Ma poi fa riflettere, fa approfondire e fa cambiare. Di cosa voglio nutrirmi? Di cibo o di cibo che mi sostiene e mi cura? Voglio arrivare a settant’anni prendendo dieci tipi di medicine diverse oppure preferirei avere un corpo sano e vivere serena la mia vecchiaia? Su questo ho riflettuto molto. Che è vero che tutti tanto dobbiamo morire e però come vivo gli anni prima della morte? In salute e in forze o stremato dagli antibiotici?
Comunque. Queste due settimane qui ci hanno fatto molto ragionare sull’importanza di avviare progetti con persone che ami e che rispetti. In quanto wwoofer fa la differenza essere ospiti di una casa colma d’armonia e affiatamento oppure essere ospiti di una casa in cui non c’è comunicazione ma solo contrasti, conflitti e lotte. Ci lascia senza energie e ci rattrista. Ma anche: ci rafforza. Ci fa guardare negli occhi e sentire invece il nostro amore, la nostra fiducia e il nostro reciproco rispetto.
E poi le capre sono esseri incredibili. Sono intelligenti e furbe, sono affettuose. Si prendono tantissime coccoline altro che le pecore che sono delle fifone e scappano appena le guardi. Hanno un buon odore, le abbiamo accarezzate tantissimo. Fanno la cacchina uguale uguale ai cereali Nesquik che mettevo nella tazza di latte da piccolina. Che bello il contatto con loro, che bello il contatto con persone simili a te.
Io vi ringrazio sempre tantissimo se siete arrivati a leggermi fino a qui.
Vi abbraccio forte e se vi va di scrivermi su Whatsapp o su Instagram per qualsiasi domanda, curiosità o anche solo per dirmi che anche voi da piccoli mangiavate latte e palline Nesquik, a me farebbe davvero tanto piacere!
Adesso ci prendiamo qualche giorno di pausa ma continuate a seguirci che presto ci saranno nuovi progetti!